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WORLD/IMAGE — MATTEO PASIN
di Benedetta Casagrande
16.06.2017






Fin dai suoi albori, la fotografia ha costituito una lente attraverso la quale comprendiamo e mappiamo il mondo che ci circonda. Gli esseri umani sono caratterizzati dal bisogno antropologico di dominare l’ambiente circostante, e il mezzo fotografico (assieme alle nuove tecnologie come le immagini satellitari, Google maps, i software di riconoscimento facciale e le telecamere a circuito chiuso) hanno messo a disposizione nuovi metodi per esercitare controllo su spazio e movimento. Con l’avvento delle nuove tecnologie siamo sommersi da un flusso di immagini virtuali che forniscono informazioni sul mondo senza precedenti. L’accessibilità di tali materiali ha spinto numerosi fotografi ad esplorare il potenziale di tali tecnologie, indagando l’influenza che esercitano sulla nostra relazione con il mondo che ci circonda. Le immagini tecniche a cui siamo esposti diventano parte di un paesaggio immaginario collettivo; non solo il mondo viene descritto in immagini, ma iniziamo a viverlo come se esso stesso fosse un’immagine non solo l’immagine serve alla descrizione del mondo, ma finisce per sostituirsi a esso: Il virtuale rimane intrappolato nel reale. Vilém Flusser suggerisce che “invece di decodificare le immagini, gli esseri umani le proiettano, ancora codificate, nel ‘mondo reale’, che nel frattempo si tramuta anch’esso in un’immagine - un insieme di scene, di stati d’essere.”


L’utilizzo di materiali fotografici prodotti per scopi di sorveglianza è diventato sempre più comune da parte di diversi artisti contemporanei che ne selezionano, tagliano e ricompongono parti con il fine di restituirli alla critica sotto una diversa prospettiva. Tra questi artisti troviamo Matteo Pasin, artista italiano che lavora con  video e fotografia. La ricerca di Pasin indaga la sostituzione del reale col virtuale assieme ad un’attenzione per le politiche dello spazio, interessandosi in particolare alla segmentazione di quest’ultime da parte dell’uomo. Tra i suoi lavori più recenti troviamo Weltanschauug (2016), un progetto diviso in tre capitoli che prendono in prestito materiali visivi da Google Earth.







Il primo capitolo, The World as Will of Representation, è un video di cinque minuti composto da un loop di 6,000 immagini satellitari scattate dal 2001 ad oggi. Le immagini nel sovrapporsi si scompongono diventando illeggibili; il sovraccarico di queste crea immagini tanto sature da rendere impossibile leggere la superficie terrestre. L’immagine prende il sopravvento sul mondo. Barriere naturali e nazionali diventano indecifrabili. Tuttavia, le immagini vengono frammentate grazie ad un sistema di immagini fisse che tenta di catturare un mondo in costante movimento. Queste frammentazioni danno vita a nuove barriere virtuali che si sostituiscono alle barriere naturali a noi familiari. Matteo Pasin spiega: “l’eccesso di rappresentazione della superficie terrestre porta ad una deterritorializzazione telematica generale che sovrasta e cancella l’orografia e le frontiere, i confini nazionali e quelli naturali. Così sopra la biosfera si è dispiegata l’infosfera: il nuovo paesaggio digitale e virtuale attraversato dalle autostrade dell’informazione in cui scorre innanzitutto un oceano di immagini che va a sommergere ogni angolo del globo.” La metamorfosi del mondo-come-immagine culmina nel video di Pasin.

Il secondo capitolo, Segmentary/Sedentary, inquadra da vicino territori specifici, esplorando la separazione della superficie terreste in territori. La relazione tra uomo e natura viene illustrata da forme geometriche astratte che rivelano il bisogno dell’uomo di frammentare ed organizzare la natura così da poterla gestire e contenere. Questa pratica universale crea un design globale con variazioni geografiche. I territori Europei si possono distinguere dai territori Americani in quanto storicamente hanno adattato la segmentazione del territorio alle barriere naturali che lo costituiscono, ovvero costruendo i confini in base a colline, montagne e corsi d’acqua. In maniera opposta, il metodo americano di segmentazione non tiene conto della forma del territorio e appare più come una griglia arbitrariamente sovrapposta al terreno. Il titolo del progetto sottolinea la relazione tra la sedentarietà umana e la necessità di segmentare il territorio in modo da stabilire nozioni di proprietà negli spazi delineati.






Il terzo capitolo, Call of the Void, New York, conduce lo spettatore ad un inquietante tour virtuale nella città di NY. Il video è composto da scene virtuali della metropoli in cui essa è rappresentata come desolata e deserta richiamando scenari post-apocalittici. Questo effetto si deve ai tentativi ed errori da parte del software di Google Earth nel creare immagini a tre dimensioni a partire da semplici immagini satellitari bidimensionali, creando così vuoti di pixels, glitch e deformazioni che contribuiscono a produrre questo senso di devastazione. Pasin inoltre esplora il repertorio d’immagini sugli eventi del 11 settembre, riflettendo in particolare sul forte impatto simbolico portato dalla distruzione delle torri gemelle. Pasin commenta: “L’attacco alle torri gemelle ha costruito un evento iper-reale nel modo in cui l’immaginazione e le fantasie più latenti penetrano nella realtà. Ecco il perché quelle immagini sono state riprodotte tanto, e continuano ancora adesso, come se ci fosse un piacere segreto nel ripetere un azione di fatto già presente in videogiochi, film di fantascienza: ’il problema oggi non fosse più quello di sapere se il cinema possa fare a meno di un luogo, ma se i luoghi possano ancora fare a meno del cinema.’ (Virilio)”. La seconda metà del video ci trascina nel sito delle ormai scomparse torri gemelle e penetra i grattacieli scomparsi, creando un glitch che viene utilizzato come distruzione e decostruzione virtuale dei simboli di potere. L’illusione ottica creata dal glitch crea un duplice senso di assenza e presenza, lasciando lo spettatore in balia di due impressioni contrastanti; mentre osserviamo una caduta di elementi architettonici-virtuali (il simbolo di potere collassa su di noi), l’occhio ha l’impressione di star compiendo un’ascesa verso una galassia inarrivabile e oscura.


Avvicinandosi gradualmente nelle strutture globali di separazione e frammentazione, Weltanschauug crea un mosaico complesso che narra la relazione tra l’uomo e i suoi dintorni, sia fisicamente (la separazione terrestre del territorio) che virtualmente (il mondo reale sostituito dalla sua immagine). Attraverso l’appropriazione e la manipolazione di materiale virtuale, Pasin illustra come le immagini siano diventate un mezzo fondamentale per costituire il mondo, invitando lo spettatore ad immergersi in un confronto diretto con la ricostruzione virtuale - ma in qualche modo empirica - del mondo che abitiamo.






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