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SCREENED: PENSIERI SULL’INVISIBILE
di Benedetta Casagrande
31.10.2016






"Le immagini sono una mediazione tra il mondo e gli esseri umani. Gli esseri umani “ex-istono”, ciò significa che il mondo non è accessibile a loro, per cui le immagini sono necessarie per renderlo ad essi comprensibile. Però, appena questo accade, l’immagine si colloca tra l’essere umano e il mondo. Dovrebbero essere mappe, ma si tramutano in schermi: invece che rappresentare il mondo, lo oscurano fino al punto in cui la vita dell’essere umano diventa una funzione dell’immagine da lui stesso creata."
- Vilém Flusser, Towards a Philosophy of Photography


La fotografia traffica illusioni ma, tra le sue varie distorsioni, continua ad offrire una sorta di contatto con il mondo. Nell’atto dell’osservare una fotografia, la fotografia retrocede, diviene trasparente, una finestra o un portale nel tempo. Ciò che scompare in quell’attimo sono le infrastrutture della tecnologia stessa: per l’occhio che osserva il mondo, è l’occhio stesso che non può essere osservato. Nonostante ciò l’abilità di persuasione del dettaglio della somiglianza fotografica ci seduce nuovamente in un ingenuo realismo: non osserviamo le fotografie, ma attraverso di esse.

Secondo Vilém Flusser la fotografia, come prima ‘immagine tecnica’, ha trasformato le fondamenta dei nostri metodi di relazione al mondo. “L’invenzione della fotografia costituisce una rottura nella storia che può essere compreso solo in paragone all’altra rottura storica, costituita dall’invenzione della scrittura lineare.” In opposizione all’immagine tradizionale, Flusser descrive l’immagine tecnica come un’astrazione di terzo ordine: è un’astrazione dal testo, che a sua volta è un’astrazione del mondo concreto. Piuttosto che essere un mezzo di rappresentazione del mondo, la tecnologia fotografica diviene un metodo per costituirlo. Ma i mezzi attraverso i quali l’apparato fotografico compie questa costruzione non sono formati dal fotografo, che secondo Flusser diviene un semplice funzionario di un programma pre-formattato:

“Il gesto del fotografo, come la ricerca di un punto di vista su uno scenario, accade nel limite di possibilità consentitegli dall’apparato. Il fotografo si muove attraverso specifiche categorie di spazio-tempo riguardanti lo scenario: prossimità e distanza, breve o lunga esposizione etc. Il gestalt dello spazio-tempo che circonda una scena è prefigurato per il fotografo dalle categorie delle sue macchine fotografiche. Queste categorie sono, per lui, a priori. Deve decidere all’interno di esse: deve premere il pulsante di scatto.”






Da un lato della lente, l’apparato fotografico ed il suo spazio interno, inesplorato, in cui la realtà viene proiettata e racchiusa. Dall’altro lato, il materiale primario che risulta nel prodotto derivato della fotografia. Big Sky Hunting di Alberto Sinigaglia, Untitled (Two Figures) di James William Murray e Camera di Sean Padraic Birnie entrano in conversazione nello spazio incerto dell’esibizione, creando una proiezione invertita dell’apparato e del suo potenziale allucinatorio.

Portando alla luce il corpo nascosto dell’apparato fotografico, “World” (da Camera) esamina lo spazio interiore del corpo fotografico per illuminare l’oscurità che costituisce il cuore della produzione fotografica. La lente viene rimossa e l’apparato isolato dal mondo esterno, interrompendo il flusso di luce che mette in relazione lo spazio esterno e lo spazio interno. Nello spazio isolato all'interno dell’apparato fotografico il sensore, pronto a ricevere luce e spazio, registra un paesaggio di rumore e nessun segnale. Il risultato è un paesaggio astratto costruito da rumore ed invisibilità. L’immagine astratta richiama gli infiniti orizzonti del mare che abitano la nostra memoria collettiva.

In Camera ii (da Camera), la lente fotografata appare come un abisso senza fondo in cui il pubblico viene assorbito. Guardando attraverso il corpo della macchina, l’oscurità diviene un sito di perdizione e assorbimento che racchiude infinite combinazioni di possibilità - nell’impenetrabile notte la mente umana cerca forme familiari per definire uno spazio immaginario. In una condizione di semi-cecità la mente umana è obbligata ad affidarsi sia alla memoria che all’immaginazione per costruire uno spazio ad essa comprensibile. Il fascino dell’invisibile (quindi dello sconosciuto) esaspera la rilevanza della relazione tra visibilità ed invisibilità nelle dinamiche fotografiche.








Untitled (Two Figures) di James William Murray consiste in una scultura costituita da due schermi adiacenti creati dal tessuto oscurante tradizionalmente usato nella camera oscura. Untitled (Two Figures) sollecita il desiderio attraverso l’invisibilità, sfruttando e ponendo domande sui paradossi intrinsechi nell’etimologia della parola schermo (screened). Perché schermo è una parola paradossale: nel Dizionario Etimologico, la parola è stata descritta come ‘ciò che ripara dall’osservazione, una partizione’, ma anche ‘una grezza superficie sforacchiata, un setaccio’, implicando che i due usi principali della parola si riferiscono al nascondere dall’osservazione e alla separazione. Come il setaccio separerebbe gli elementi più grossi dagli elementi più fini, portando l’attenzione su un elemento piuttosto che sull’altro, lo schermo ha la doppia funzione di nascondere e rivelare. Attraverso la separazione degli elementi, lo schermo regala l’ordine che ogni tanto deriva dalla separazione, permettendo al pubblico di concentrarsi solo su ciò che viene rivelato, silenziando momentaneamente il non-necessario e lasciando l’attenzione indisturbata. Le domande che sorgono naturalmente dal lavoro di Murray sono semplici ma fondamentali per comprendere la rilevanza della sua opera nell’insieme della mostra: chi o cosa viene protetto dallo schermo? Da cosa viene protetto? Come pubblico, da che parte dello schermo siamo? E ancora: in quali modi l’impossibilità di vedere stimola le nostre curiosità e i nostri desideri più profondi? Sotto molti aspetti il lavoro di Murray funziona come un vaso di Pandora, infinitamente affascinante nella sua pudica segretezza. Mettendo in gioco le relazioni tra presenza e assenza, visibilità ed invisibilità, Murray sottolinea l’importanza di tali paradossi nella nostra comprensione delle arti visive.





Big Sky Hunting di Alberto Sinigaglia bilancia la mostra “presentando un viaggio ai limiti dello spazio della rappresentazione”. Esplorando la relazione tra l’uomo e lo spazio, e più specificamente l’urgenza di dominare e controllare tale spazio, Big Sky Hunting ci confronta con immagini astratte e semi-scientifiche derivanti dai dintorni a lui circostanti. Appropriandosi di vari elementi tra cui fotografie originali e documenti d’archivio, Sinigaglia manipola gli elementi sfruttando e commentando il desiderio umano di rendere comprensibile ciò che non può essere compreso.

Big Sky Hunting enfatizza la capacità della mente umana di creare ed immaginare ciò che desidera vedere, o ancora meglio, ciò che desidera in ordine da creare una conchiglia dentro la quale proteggersi; una barriera rassicurante nella quale ciò che è sconosciuto può essere controllato.

Il lavoro di Sinigaglia ci ricorda teneramente di uno dei meccanismi più affascinanti della psiche umana; il nostro bisogno di dominio, controllo e comprensione, o in altre parole il nostro bisogno di sicurezza. Il nostro uso del media fotografico riflette il nostro bisogno di controllare e comprendere il mondo. E i linguaggi associati alla fotografia affermano una dominanza umana sullo spazio; ‘catturiamo’ i nostri dintorni, ‘immortaliamo’ i nostri amanti, e nella terminologia inglese si ‘prende’ (take) una fotografia, come se nel farla avessimo rimosso qualcosa dal mondo.

Nel complesso, SCREENED penetra nel labirinto della percezione, esplorando il potenziale fantastico del medium fotografico e, soprattutto, le maniere più profonde in cui ci relazioniamo ad essa. Avvicinando tre artisti che, ognuno a modo suo, compiono ricerche attorno a questioni di visibilità, medium e tecnologia, l’esibizione invita il pubblico a fantasticare, riflettere e perdersi negli abissi senza fondo delle fotografie.




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