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A MICRO ODYSSEY  — MARCO CASTELLI
di Michele Amaglio
20.09.2016






L’ignoto e l’impercettibile hanno sempre suscitato nell’uomo grande interesse e fascino mossi dal desiderio di razionalizzare ciò che non può essere compreso o percepito. Comprendere il cosmo ed i corpi celesti significa comprendere qualcosa in più di noi stessi e forse delle nostre origini. Sin dall’antichità l’uomo guarda con grande ammirazione allo spazio spinto dal voler comprenderne sempre di più. Questo interesse si traduce ancora oggi sia nelle scienze che nelle arti. Con l’invenzione della fotografia e la sua applicazione in campo scientifico, il grande pubblico è stato avvicinato per la prima volta al mondo dell’impercettibile, dal organismo più piccolo alla galassia più remota. Lo dimostrano le immagini che già a partire dalla seconda metà dell’800 grandi pionieri della fotografia scientifica hanno reso possibile come Auguste Adolphe Bertsch che nel 1857 riuscì a raffigurare una larva di ape o gli esperimenti del astronomo Andrew Ainslie Common che portarono alle prime immagini della Nebuola di Orione già nel 1883.


Nonostante le scoperte nei secoli, ancora oggi persiste un elemento di irrazionalità nella comprensione dei fenomeni dell’universo, sinonimo di infinito e di ignoto. La fascinazione per l’irrazionale coinvolge anche la fotografia che cerca di divincolarsi dal suo carattere oggettivo. Al contrario,  una fotografia può essere ambigua ed ingannare lo spettatore portandolo verso nuove forme di percezione. Attraverso una ricerca decisamente più metafisica in cui ciò che è rappresentato dall’immagine il più delle volte non coincide con ciò che viene percepito, è possibile arrivare a toccare le corde dell’astratto. Lo spettatore viene condotto ad immagini che riportano a l'ambiguo, al possibile e a l’impercettibile. Ammiccando al mondo dell’irreale, diversi artisti hanno posto l’interrogativo su come possa cambiare la nostra percezione della realtà attraverso la fotografia.





Il legame tra irreale e fotografia affonda le proprie radici già ad inizio del ‘900 con le sperimentazioni condotte dai grandi maestri del surrealismo, dove la ricerca dell’irrazionale anche attraverso lo strumento fotografico è diventata centrale. Man Ray nel 1929 afferma “la fotografia non è limitata al ruolo di copia. É una meravigliosa esploratrice degli aspetti che la nostra retina non può registrare” . La fotografia deve quindi emanciparsi dal ruolo di copia della realtà e diventare rappresentazione dell’impercettibile ovvero di un esperienza sensoriale che va oltre ciò che l’occhio umano può comprendere. Quello che per la prima volta il movimento surrealista ha sostenuto riguardo l’uso della fotografia per catturare l’irrazionale ha continuato ad esistere fino ad oggi, sostenendo il ruolo soggettivo e creativo del medium fotografico.


Ma quando l’approccio creativo ed irrazionale incontra la ricerca scientifica nasce una collaborazione che porta a nuove forme di interrogazione sulla realtà. Marco Castelli con il suo lavoro A Micro Odyssey unisce questi due aspetti creando nuovi pianeti e corpi celesti a partire da fotografie di colture batteriche. A partire dalle forme create dai batteri più comuni è possibile arrivare ad illuderci di raggiungere lo spazio. Un passaggio repentino dal micro al macro che porta con sé il desiderio più antico da parte dell’uomo di conquista e comprensione del remoto. Nell’immagine “Billiard Pool” i batteri raccolti in un tavolo da biliardo creano forme estremamente verosimili alle immagini di un pianeta simile alla Terra con agglomerati che sembrano evocare contenenti, oceani ed addirittura nuvole. Altre immagini sono più semplici ma allo stesso tempo molto efficaci, come “Grass” che emula forme di pianeti prevalente rocciosi in cui il tessuto è prevalentemente omogeneo. Il tutto rafforzato dalle immagini di sfondo raffiguranti galassie e stelle, intensificando l’immaginario celeste.


Si tratta di immagini che ci ingannano: il lettore affascinato dalla semplicità ed allo stesso tempo dalla bellezza di queste forme viene condotto ad una nuova dimensione, a tratti spensierata di universi lontani. Il divano di un bar, il corrimano di autobus o addirittura la mano di uno sconosciuto diventano l’incipit per un viaggio che porta batteri e forme spaziali a stretto contatto. Castelli omaggia il capolavoro della cinematografia “A Space Odyssey” di Stanley Kubrick attraverso una ricerca che unisce il desiderio umano di conoscenza con il fascino per l’ignoto. L’immaginario prodotto da Castelli ci porta a fantasticare ancora una volta sui corpi celesti da noi così lontani.



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